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TitreDue discorsi : Che la favola della comedia vuole esser onesta e non contenere mali costumi ; Che egli è necessario a l’esser poeta imitare azioni
AuteursDel Bene, Giulio
Date de rédaction1574
Date de publication originale1974
Titre traduit
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Editeur moderne
Date de reprintIn Bernard Weinberg (éd.), Trattati di poetica e di retorica del Cinquecento, tome III, 1974, p. 175-204.

, p. 180-181

Fanno i loro fondamenti questi tali, come poco fa accennai, in quella divisione di Aristotile che egli nel principio della sua Poetica pone, dicendo: “Coloro che imitono persone operanti, e questi tali conviene che sieno o buoni o rei; di qui ne viene che i poeti imitino come i pittori o i migliori o i simili o i peggiori”; e poco di poi soggiugne: “Et in questo la comedia è differente dalla tragedia”. Pare veramente che Aristotile dica che nella comedia si imiti i cattivi, e però quando questi tali faccino disoneste azione, non pare che il poeta faccia quello che a lui fare non si converrebbe. Ma questi, se riguarderanno quello che a cotali parole subito segue, vedranno questo vizio delle azioni comiche essere dichiarato da Aristotile con mostrare che sia più tosto mancamento, interpretandolo lui stesso dicendo: “queste della tragedia azioni di uomini illustri, quelle della comedia non di uomini viziosi, ma umili e bassi di sangue e di intelletto”, non intendendo i peggiori per alcuno vizio ch\'in loro sia, ma per i bassi e vili concetti d\'animo. Ma mi potrieno di nuovo con la autorità del medesimo soggiugnere che nel definire la comedia egli dice il medesimo, cioè che la comedia è imitazione di uomini cattivi; ma con la medesima risposta e pazienzia, se eglino tutta la definizione leggessero vedrebbono che il testo medesimo ogni dubbio che di ciò avere si potesse discioglie e leva via, perché a tali parole segue: “cattivi (se pur così intender si debba, ma più tosto peggiori di condizione), non d\'ogni sorte cattività o vizio, ma di quella bruttezza e mancamento donde ne viene il ridiculo”. Il quale ridiculo, per meglio fare intendere in che peccano quelli che del ridiculo sono cagione, dichiara apertamente togliendo via ogni sospezione di vizio e di disonestà, dicendo ridiculo “vizio o errore e bruttezza senza dolore il quale non corrompe colui che ne è cagione, come è ridicula la faccia di uno che sia stravolta senza dolore”. Queste sono le parole di Aristotile per le quali chiaramente si conosce che il vizio della favola comica è solo cagione del ridiculo, e questo vizio è tale che egli non corrompe colui che lo riceve né gli dà dolore: ché altro non vuole significare che viziose non deveno essere queste tali azioni né disoneste, perché se tali fossero, sendo contrarie alla virtù, darieno dolore a colui che le operassi, e questo tal vizio altro non saria che la corruzion delle buone azioni. Il che Aristotele non vuole né intende potere contenersi nella favola della commedia.

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, « Che è necessario al poeta imitare azioni », p. 196-197

Sempre quando Aristotele et Orazio, ancora che de’ precetti della poesia parlono, vogliono assomigliare i poeti, questi il più delle volte a’ pittori assomigliono et alcune volte ancora agli istorici, perché si vede chiaramente lo istorico narrare sole le azioni et il pittore dipingerle, non potendosi al mio giudizio fare alcuna pittura dove non sia azione se non forse dove e’ dipinghino una pittura oziosa ; e però tanto sono simili i pittori a’ poeti solo per le azioni. E chiara cosa, adunque, né si può credere altrimenti, che non essendo il poeta veramente poeta, ma poeta solo per la favola, e la favola sendo una composizione di azioni, che al poeta sia necessario per esser poeta lo imitare azioni. Il che credo aver mostrato in tutte le spezie di poesie.

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, p. 201-202

Se alcuno mi dicesse che essendo simile il poeta al pittore, e questo imita non solo le azioni ma gli affetti e i costumi — et il medesimo pare ancora che Aristotele accenni che si possino imitare — se garderà rettamente e con lo occhio dell’intelletto, vedrà che i costumi è cosa impossibile da imitarsi senza le azioni ; perché che cosa sono i costumi altro che buoni e cattivi ? E questi per la virtù o per il vizio si discernono, e virtuosi e viziosi sono chiamati coloro che non avendoli si stanno senza operare, ma quelli che secondo il vizio e la virtù operano. Non si conosce, adunque, il costume altrui se non dalle operazioni ; però bisogna a imitare i costumi imitare l’azioni le quale i costumi dimostrono. […] E come è egli già mai possibile imitare costumi senza azioni, poiché gli uomini agenti discuoprono il loro costume ? Sendo cosa impossibile, diremo adunque che il poeta imita i costumi per le azioni e non l’azioni per i costumi, potendo quelle stare senza queste, e questi senza quelle non avendo dove posarsi ; e però ben disse Aristotele che far si potevano poesie senza i costumi, ma non già mai senza favola, trovandosi delle tragedie che non hanno in loro costume in qualunque modo costume si intenda.

Meno ancora, se io non mi inganno, si possono imitare gli affetti senza le azioni ; perché gli affetti sono l’ira, la mansuetudine, l’amore, l’odio, il timore, la confidenza, la vergogna e la sfaciatezza, la misericordia e l’indignazione e, finalmente, la invidia e la emulazione, o se alcuni altri si ritrovano simili a questi i quali volgono gli animi delli uomini dove a loro piace. Questi si movono o con le parole o con gli affetti quando si veggono operare cose che questi destino nella mente degli uomini ; e, questi mossi, come si può egli conoscere che sieno di tali affetti ripieni gli uomini se non mediante quelche strana azione che, perturbando loro lo animo, non solo dimostrino nel volto di fuori quali dentro sieno, ma operino ancora second questo tale affetto ? Perché l’irato, lo sdegnato, quello che odia, quello che ha invidia, a l’arme, alle rapine, alli ammazzamenti, alle vendette et al machinare cose dannevole contro a colui con chi egli ha tale affetto, e questi mostrerà con il volto, con il volger degli occhi, con il viso pallido, con lo andare, con il pensare e con tutte le sue azzioni ; e quello altro tutto il contrario, col perdonare, con il far bene, con lo avere speranza, con il pudore e con il pentirsi e con lo imitare i buoni, viene a dimostrare l’animo suo benigno, piacevole e virtuoso, col volto allegro e mansueto in tutti i suoi gesti e parole. E con questi si dimostra veramente quali sieno e come si imitino gli affetti ; imperò che i pittori ancora loro senza le azioni delli uomini agenti non possono gli affetti depingere, né i poeti questi senza le azioni imitare.

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